Wednesday, May 13, 2009

1233860007538_05 Antonio Castronuovo è una firma conosciuta. Scrittore e direttore della rivista di cultura romagnola «la Piê», come studioso de futurismo nella nostra regione ha appena pubblicato «Avanguardia balneare: figure e vicende del futurismo a Rimini» (Editrice La Mandragora, euro 15).

E’ un testo che interessa per vari motivi che ben emergono dalle parole del suo autore.


Una prima curiosità nasce proprio dal titolo: perché chiama «balneare» il futurismo riminese?

«Più che di futurismo in senso stretto, si può parlare per Rimini di ardori e pungoli d’avanguardia, che essendo inoltre concentrati nei periodi estivi mi hanno suggerito il titolo del volumetto. In ogni caso, se anche non ci fu una vera stagione futurista riminese, il fenomeno attraversò la città dal 1909 agli anni Venti, e assunse l’aspetto di una sorta di calda euforia, più spensierata e goliardica che seriamente futurista. In ogni caso questa euforia s’instradò lungo un tragitto di modernità culturale e, per quanto marginalmente, contribuì allo svecchiamento della cultura locale, favorì il processo di abbattimento degli ultimi languori romantici. È la ragione per cui ho ritenuto che il fenomeno andasse pubblicizzato e storicizzato».


Non pochi furono i personaggi che concorsero all’avventura, e non pochi gli strumenti giornalistici che ne furono coinvolti…

«Tra le figure che appaiono in questa storia sta in primo luogo Addo Cupi, la vera levatrice del futurismo riminese. Poi Benso Becca, Giacomo Donati e altri. Anche Luigi Pasquini ebbe inclinazioni futuriste e qualcosa fece per il movimento, come oggi testimoniano alcuni documenti del suo bel fondo archivistico presso a Biblioteca Gambalunga. Il futurismo riminese è fondamentalmente un’avanguardia di carta, fatta di articoli e libelli. Le riviste che si fecero portatrici dei messaggi di avanguardia furono perlopiù gazzette balneari, come “Il Gazzettino Azzurro” e “Il Pesceragno”, ma ci furono anche strumenti pubblicistici speciali, come “Ohè..Hop!” e “L’Arco”, entrambi pezzi molto rari... Non mancò nel futurismo riminese un momento, per così dire, di “alta filosofia”, vale a dire il movimento del “dinamismo” ideato da Donati, che produsse anche un manifesto, forma espressiva amata dai futuristi. Ma tutto si spense lasciando ben poca brace».


Il futurismo riminese è ben documentato? Con quali materiali si è confrontato?

«Ho voluto scrivere il libro perché quest’anno, come è a tutti noto, è il centenario del futurismo, un centenario già gravato da polemiche, scatenate dall’incapacità del Comitato scientifico nazionale di organizzare un evento unitario, che desse un’idea complessiva di questa grande avanguardia tutta italiana.

Eppure io credo che non fosse possibile dare tale idea unitaria: il futurismo assume sapore a contatto con le periferie, ed è dunque logico e corretto far emergere le cose che sono state fatte, appunto, nelle tante città italiane toccate dal movimento. Ecco perché, dopo aver prodotto negli anni scorsi studi sui futurismi di varie città romagnole, ho voluto ora concentrarmi su Rimini e Ravenna (città in cui sto organizzando una mostra e un catalogo).

Ciò premesso, il futurismo riminese era già stato ampiamente studiato, da Ennio Grassi soprattutto, con saggi e libri dei quali sono ampiamente debitore. Diciamo che ho semplicemente confrontato gli studi già esistenti con i documenti originali, andandoli a guardare, leggere e copiare soprattutto alla Gambalunga (“L’arco” invece l’ho trovato solo alla Saffi di Forlì).

Ne è venuto fuori un libretto agile, che ho voluto stampare a tiratura limitata e con una copertina un po’ “gridata” – come futurismo comanda – ma senza rinunciare alla scientificità della struttura, con tanto di bibliografia ragionata e una appendice che riproduce un lungo articolo di Giacomo Donati, “L’iconoclastia nuova”.

Spero che questo lavoro, certamente non molto importante, possa se non altro servire ad attrarre un po’ di interesse dei riminesi verso un pezzetto del loro passato. In fondo, tutte le cose narrate nel libro, sono state combinate da loro!...».

Una annotazione sull’immagine. Il primo manifesto futurista appare nella Gazzetta dell'Emilia il 5 febbraio 1909, poi uscì il 20 dello stesso mese su “Le Figaro” a Parigi. Fonte immagine, “Repubblica di Bologna”.

Labels: , , , ,

Saturday, May 02, 2009

Tra Rimini e Manchester:
Nicolò di Lira (1270-1349)

Alla John Rylands Library di Manchester si trovano i tre volumi manoscritti delle «Postillae» alla Bibbia di Nicolò di Lira (1270-1349), completati nell'aprile 1402 dal francescano Ugolino di Marino Gibertuzzi da Sarnano, nel convento dei frati minori di Pesaro, per ordine non di Pandolfo III Malatesti di Rimini, (come è stato scritto anche di recente, 1988), ma di Malatesta “dei Sonetti” (1366c-1429) del fu Pandolfo II di Pesaro (1325-1373). Lo si ricava dal catalogo (1921) dei manoscritti latini della stessa John Rylands Library. Dove è riportato il testo latino di Gibertuzzi, posto alla fine del terzo volume dell'opera.

Pandolfo III Malatesti (1370-1427) nel 1386 ha sposato Paola Bianca Malatesti di Pesaro, sorella di Malatesta “dei Sonetti”, morta nel 1398 a trentadue anni.
Una figlia di Malatesta “dei Sonetti”, Paola Malatesti, nel 1410 sposa Gianfrancesco Gonzaga (1395-1444) di Mantova.

Gianfrancesco è figlio di Francesco I (1366-1407) e Margherita Malatesti (+1399) di Rimini, sorella di Pandolfo III e di Carlo Malatesti (1368-1429).
Carlo Malatesti a sua volta sposa (1386) Isabetta Gonzaga sorella di Francesco I.
Da Gianfrancesco Gonzaga e Paola Malatesti nasce Lodovico (1412-1478) che nel 1437 sposa Barbara di Hohenzollern, nipote dell'imperatore Sigismondo.

Il nome di Lodovico Gonzaga è legato ai tre volumi manoscritti delle «Postillae» di Nicolò di Lira presenti a Manchester. Egli infatti il 23 marzo 1469 li dona alla biblioteca conventuale di San Francesco di Mantova.

Ai Gonzaga si dicono appartenuti anche i «Libelli antigiudaici» («Tractatus adversus Iudeos») di Nicolò di Lira e Girolamo Ispano (SC-MS. 39) attualmente alla Biblioteca Alessandro Gambalunga di Rimini.
Dai Gonzaga furono poi donati alla riminese Confraternita di San Girolamo che li cedette, dietro pressioni del cardinal Giuseppe Garampi sulla Curia romana (1753), alla Gambalunga (come scrive un suo direttore, Piero Meldini).

Nicolò di Lira, con il suo codice «Super Psalmos», è uno degli autori citati nell'inventario del 1560 conservato a Perugia e pubblicato nel 1901 da Giuseppe Mazzatinti in un saggio intitolato «La biblioteca di San Francesco (Tempio malatestiano) di Rimini» [ora scomparsa], contenuto nel volume «Scritti vari di Filologia» apparso a Roma presso Forzani, Tipografi del Senato, pp. 345-352. Il saggio di Mazzatinti è datato «Forlì, agosto 1901».

Un «Super Psalmos» (recte: «Postilla super librum Psalmorum», 1460) è conservato anche in Malatestiana a Cesena (ora D-VI.3).
Dove incontriamo pure, dello stesso Nicolò di Lira, i commenti al Vecchio Testamento (D.VI.2 e 5).

Alla storia della
BIBLIOTECA MALATESTIANA DI SAN FRANCESCO A RIMINI

Alla sezione sulla
BIBLIOTECA MALATESTIANA DI SAN FRANCESCO A RIMINI

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA